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Lezioni di rabbiosa follia

Una breve fantasia dell'orrore, che trova spunto in due elementi della realtà odierna: la gestione degli appalti manovrata dagli interessi politici, e gli episodi di violenza omicida nelle scuole, in special modo in quelle americane. Nessuna intenzione di fare moralismo, soltanto un mio ulteriore tentativo di dimostrare che molti presunti orrori sociali sono nulla in confronto a quanto può partorire la nostra fantasia.
 

Ci sono due periodi nei quali si effettuano lavori di interesse pubblico: quando il cantiere può risultare più appariscente possibile e quando un politico cerca la conferma da parte dei suoi elettori. In tali situazioni non si prende affatto in considerazione il disagio arrecato ai cittadini deviando un flusso di traffico oppure chiudendo settori di un edificio, poiché l'appariscenza e il mantenimento della poltrona sono valori troppo alti per potervi rinunciare.
Capita così di vedere rifare l'asfalto di una strada, generalmente deserta per nove mesi l'anno, durante i tre mesi di afflusso turistico, oppure che una scuola sia restaurata quando l'anno scolastico è in corso anziché in estate.
Fu proprio a causa del restauro della mia scuola che avvennero i fatti che mi accingo a narrare.

L'Istituto Tecnico Industriale "Leonardo Da Vinci" necessitava da svariati lustri di un rifacimento delle facciate, della sostituzione integrale degli infissi oramai fatiscenti, e della messa a norma di sicurezza dell'impianto elettrico di un'ala dell'edificio.
Per tali interventi, saggiamente programmati durante l'anno scolastico, precisamente a partire dal mese di febbraio, furono istituiti turni di lezioni mattutine e pomeridiane, da tenersi nelle aule provvisoriamente non oggetto d'interventi di manutenzione e restauro. La mia scuola era costituita da sei corsi quinquennali, con classi discutibilmente suddivise in maschili e femminili, quindi occorrevano trenta aule per volta, esclusi uffici, laboratori, biblioteca e servizi: in base a come si organizzò la ditta che vinse l'appalto dei lavori, vennero occupate dalle cinque alle otto aule per volta, variabili ogni settimana circa, per cui noi studenti fummo costretti a spostarci spesso, oltre a dovere spesso seguire lezioni pomeridiane, assolutamente contrarie a un bioritmo normale.
I vari rappresentanti di classe e quello d'istituto degli studenti cercarono vanamente di fare posticipare i lavori all'estate, minacciando anche uno sciopero, ma la "Leonardo Da Vinci" era una scuola rinomata nella città perché si era sempre mantenuta neutrale quando c'erano manifestazioni studentesche; pertanto furono sufficienti le minacce di una pesante sanzione disciplinare e del 7 in condotta al secondo quadrimestre per indurre le tre quinte classi a desistere per non giocarsi la maturità. Sotto questa prospettiva, i piccoli focolai di rivolta non riuscirono a concretizzare alcuna protesta affinché i lavori venissero rimandati.
Fu inutile cercare l'appoggio dei docenti, i quali non intendevano schierarsi dalla nostra parte e mettersi contro un direttivo che, pur di ottenere il loro appoggio, li indennizzava economicamente con un extra per le ore pomeridiane dedicate all'insegnamento, sebbene si trattasse soltanto di uno spostamento di lezioni, e non di ore in più.

Se durante le lezioni mattutine sembrava che tutto fosse quasi normale, fatta eccezione per i rumori prodotti dai muratori, quando capitava un turno pomeridiano, malumore, stress e svogliatezza calavano nell'aula, accompagnati dalla freddezza nei nostri confronti da parte dei professori. In quelle condizioni non sapevamo se fosse meno peggio per noi affrontare una spiegazione o essere interrogati, poiché in entrambi i casi veniva meno, in molti studenti, la concentrazione necessaria per un apprendimento e un rendimento adeguato.
Già prima che iniziasse quel brutto periodo, la nostra professoressa di Matematica si dovette assentare per portare a termine la sua gravidanza, pertanto era giunto un supplente che sarebbe stato il nostro docente almeno fino al termine dell'anno scolastico. Si chiamava Vitale Mastrogigli, con un'aria da quarantenne, e da noi avrebbe svolto il suo terzo incarico di supplenza, in attesa di un'occasione che gli permettesse di insegnare in una stessa scuola almeno per un anno intero, nonché magari di diventare insegnante di ruolo dopo aver maturato abbastanza anni di supplenze.
Il suo arrivo fu come una imprevista variabile nel sistema della "Leonardo Da Vinci", poiché ci espresse sin dalla prima lezione pomeridiana il suo disappunto per quella stravaganza di effettuare lavori all'edificio in quel periodo. «Davvero una cosa da pazzi!» prese a dire entrando in aula «Non s'è mai vista una roba del genere! E cosa hanno saputo dire per spiegazione? Che noi insegnanti godremo di un indennizzo per le lezioni pomeridiane! Hanno davvero soldi da buttare in questa scuola?»
Passando in rassegna i nostri volti, comprese il disagio che ci accomunava a lui, eccezione fatta, ovviamente, per l'indennizzo… «Questa scuola, poi, è pure celebre per essere una specie di mondo a parte, dove gli studenti non organizzano proteste… Che storia! Ai miei tempi, in una situazione del genere, uno sciopero a oltranza non ce l'avrebbe impedito manco il Padreterno! Ma basta perderci in chiacchiere, che ci attende una bella lezione di goniometria…»
Iniziò quindi l'ora di Matematica, che ci vide impegnati a capire come si proiettavano i punti della circonferenza lungo gli assi cartesiani per definire il rapporto di tali proiezioni col raggio… Infine, quell'ora si perse dentro le altre quattro di quel pomeriggio…

Una lezione dopo l'altra, il professor Mastrogigli conquistò l'intera classe, alternando le sue gradevoli lezioni a dissertazioni personali sull'assurda situazione del nostro istituto. Qualcuno di noi studenti cominciò però a chiedersi a cosa servisse tanta espressione di pensiero senza mai alcun proposito di azione: non che sperassimo in un supplente di Matematica che guidasse una rivolta contro l'attuale sistema della "Leonardo Da Vinci", ma tanto vigore per convincerci di quanto fosse sbagliato subire, e tanta rabbia trasmessaci ogni volta, senza costruire nulla, servivano a ben poco, specie se nel frattempo i cantieri nella scuola restavano al loro posto, e noi vivevamo quel disagio, impotenti.
Se Panarelli, il nostro compagno appassionato di statistica, non fosse stato bocciato l'anno prima, probabilmente si sarebbe accorto che gli argomenti extra didattici di Mastrogigli cambiarono tono quando l'ultimo di noi ebbe detto la propria opinione sulla questione del disagio per via dei lavori di restauro nella scuola. Evidentemente ora il professore sapeva di averci convinti tutti, di averci resi un unico e compatto gruppo rabbioso e motivato…
«C'è un punto nel cammino compiuto dal ribelle» cominciò a dire il prof, quando quell'evento atteso dalle immaginarie statistiche di Panarelli si fu verificato «nel quale si è stanchi di accumulare ragioni e consensi, e si ha bisogno di muoversi, finalmente, decisamente, irreversibilmente! Perché opporsi a questo autentico regime non lascia mai le cose com'erano, è bene che voi questo lo sappiate: la diplomazia non ha condotto a nulla fino a oggi, quindi per cambiare lo stato delle cose tra queste mura, è necessario accettare un cambiamento innanzitutto in noi stessi, ragazzi! Sarà probabilmente un sacrificio per i più sensibili di voi, ma non abbiate paura, poiché dovete temere l'inerzia verso le ingiustizie, non certo il crescere e maturare alzando finalmente la testa da sotto la sabbia!»
Quasi con precisione cronometrica, appena ebbe terminato quello strano preambolo al nuovo capitolo della sua consueta dissertazione extra didattica, suonò la campanella che, siccome quella di Matematica era l'ultima ora della mattinata, corrispondeva alla nostra libertà.
Mi chiesi, come credo molti altri dei miei compagni, dove ci avrebbe condotti il professor Mastrogigli nella lezione successiva, e parlandone con qualcuno dei miei amici di scuola nell'immediato e nelle giornate successive che precedettero la sua nuova lezione, potemmo soltanto vagliare ipotesi. Di certo non ne facemmo parola con gli altri docenti, tutti corrotti dal direttivo scolastico, né con le nostre famiglie che, come ci aveva fatto notare Mastrogigli, avevano scelto la "Leonardo Da Vinci" proprio per la rinomata serietà che la rendeva immune da manifestazioni studentesche e scandali vari.

La lezione di Matematica successiva capitò durante un turno pomeridiano, dalle 17.30 alle 18.20; Vitale Mastrogigli, entrò, puntuale come sempre, e prese posto dietro la cattedra. Era solito fare l'appello per annotare le assenze sul registro personale, ma quella volta preferì un più rapido confronto con il registro di classe, poiché prima di lui aveva fatto lezione la professoressa di Italiano.
«Tutti presenti…» disse sottovoce, aggiungendo, con un tono ancora più basso che solamente chi era nella prima fila di banchi poté udire in maniera nitida «Ovviamente!»; quindi alzò lo sguardo dal registro, e si rivolse a noi, con un'espressione decisa e convinta.
«Ancora una volta siamo qui di pomeriggio, a subire ciò che sappiamo essere ingiusto!» cominciò a parlare, con il solito tono trascinante inteso a coinvolgerci «Ma finalmente voi siete pronti, ragazzi miei! Ora siete finalmente tutti carichi di quella rabbia da sfogare che serve… State tranquilli, però: vi ho parlato di dover accettare un cambiamento, e che per qualcuno ciò avrebbe potuto rappresentare un sacrificio… Ebbene, voi oggi non utilizzerete quanto vi ho trasmesso per sfidare questa scuola che rappresenta un granello di sabbia nell'ordine delle cose, questa scuola che fuori dalle sue mura incute riverenza soltanto per quello che compie dentro di esse… No, voi oggi farete un salto di qualità, nel corpo e nello spirito…» Uscì quindi da dietro la cattedra e vi si piazzò davanti, invitando Brizio, in prima fila, ad alzarsi e mettersi accanto a lui, quindi lo cinse con un braccio sulle spalle. L'espressione del nostro compagno, un ragazzone di corporatura robusta, dallo sguardo buono e timido, mi sembrò strana, come se stesse dormendo in piedi a occhi aperti; del resto io stesso, ora che ci pensavo, mi sentivo con la mente ovattata da qualche minuto, come se ogni mio pensiero fosse in secondo piano, eccetto l'ascoltare il professore e pensare alla rabbia per lo stare subendo nuovamente una lezione pomeridiana perché imposto dall'alto
«A voi poco deve importare questa situazione di disagio scolastico» riprese a dire il prof, sempre con il braccio sulla spalla di Brizio «perché il vostro destino non è cambiare lo stato delle cose, né adattarvi a esse, bensì a esaltare questo sentimento che ho infuso in voi lezione dopo lezione, e fare come me…» detto questo, si avvicinò alla guancia di Brizio come se volesse baciarla, e ne tirò via un morso con i denti, a crudo!
Sentivo il mio cuore aumentare i battiti dall'osservazione di quella scena con quel sangue che zampillava e il brandello di guancia di Brizio che penzolava tra le labbra di Mastrogigli, ma i pensieri non furono capaci di elaborare la reazione che mi aspettavo, poiché invece di urlare per lo spavento, sbarrarmi lo sguardo con le mani o provare una qualche empatia od orrore per la scena, mi preoccupai di fare altrettanto prima di subire io stesso un trattamento del genere. Per cui mi voltai tranquillo verso il mio compagno di banco De Biasi, e gli assestai un morso al lobo dell'orecchio, percependo oltre al sapore del suo sangue, anche alcuni dei suoi capelli che erano stati strappati via da quel gesto, e si erano insinuati nello spazio interdentale della mia bocca. Il mio compagno di banco, che doveva aver elaborato i miei stessi pensieri con un lieve ritardo che gli aveva impedito di precedermi, si ritrovò così a iniziare quel folle sfogo di rabbia con una prima mutilazione già subita: aveva delle unghie affilate, che forse gli servivano come minima difesa essendo piccoletto di statura, e con esse mi lacerò facilmente un lembo della camicia all'altezza della clavicola, per poi assestarmi un morso lì, mentre mi difendevo usando un mio pollice come gancio nel suo orecchio il cui lobo già aveva assaggiato i miei denti. Allo stesso modo, l'intera classe si stava scatenando in quel delirio di violenza cannibale, compiuto con assurda tranquillità.
Il sangue, assieme a brandelli di pelle, di muscoli e capelli, aveva iniziato a insudiciare libri, quaderni e zaini, oltre agli arredi della scuola, e tutto questo avveniva in un irreale silenzio: non un grido di dolore o lamento usciva dalle nostre bocche, eppure percepivo il dolore delle mie ferite, e la carne viva che bruciava… Quella violenza sanguinaria non rimase mirata sempre contro lo stesso compagno di scuola, ma talvolta, come in una macabra danza, avveniva uno scambio di prede, con conseguente reciproco tormento ulteriore alle piaghe già ricevute, oltre a nuovi graffi e morsi su parti del corpo ancora inviolate.
Non trascorsero oltre cinque minuti di quel macello infernale, in quel silenzio vocale che ci permetteva di sentire il lacerarsi della carne; percepivo il tempo scorrere stranamente lento, e di tanto in tanto lo sguardo cadeva sul professor Mastrogigli che, gettato Brizio nel mucchio dei carnivori studenti, si gustava lo spettacolo, limitando i suoi gesti a un soddisfatto chiudere aritmicamente a uncino le dita tenendo i palmi in alto come se sostenesse qualcosa tra le braccia. L'ingiusto costringere noi studenti a turni pomeridiani di lezione era soltanto un pretesto per farci montare una rabbia necessaria da poter sfogare poi reciprocamente in quel modo fatto di orrenda violenza, senza alcun rispetto del corpo, né di chi aggredivamo, né del nostro, in quanto il dolore non ci fermava, ma anzi ci imbestialiva ulteriormente, facendoci affondare maggiormente nelle ferite già inferte, alla ricerca di carne viva e sangue sempre più caldi.

«Perfetto, può bastare così…» disse a un certo punto il professor Mastrogigli, e le sue parole suonarono per me, come per tutti i miei compagni, come l'ordine, o forse l'invito, a interrompere ciò che stavamo facendo, il cui significato ci si sarebbe rivelato agli occhi di lì a breve. Staccandoci con naturalezza l'uno dall'altro, tornammo a prestare attenzione al docente, che ora aveva tra le mani una grossa massa molle di roba scura e informe, mentre lui, con fronte e capelli vistosamente sudati, aveva stampato sul volto una folle espressione soddisfatta.
«Ce l'ho fatta…» diceva, compiacendosi nell'incrociare i nostri sguardi «Il rito ha funzionato… Il dio della rabbia si è materializzato… per me!»
Dalla scura massa informe, fece lentamente capolino una protuberanza cilindrica del medesimo colore del resto, con in cima una faccia che vedemmo soltanto in un secondo momento, quando distolse l'attenzione dal suo evocatore e si girò per guardarsi attorno: sembrava un incrocio tra una lumaca, della quale possedeva le antenne retrattili, e un maiale, del quale aveva invece il  naso.
Non ci fu modo, per noi, di vedere altri dettagli di quella faccia emersa dalla melma tenuta in braccio dal prof; la creatura, che era stata chiamata "dio della rabbia", si voltò nuovamente verso il suo evocatore, e scattò improvvisamente in avanti, come un cobra, spalancando una bocca che immagino fosse fornita di lunghi denti affilati, visto che, appena un paio di secondi dopo, con un suono di ossa spaccate, metà del cranio del nostro professore di Matematica fu ingurgitata da quell'abominio, lasciandoci per pochi istanti la vista della sua testa sezionata da quel morso mortale, subito prima che il corpo di Mastrogigli collassasse sul pavimento, privo di vita, e il "dio della rabbia" cadesse, non più sorretto, e si spiaccicasse accanto a lui, come molle cemento nero accidentalmente caduto dalla betoniera.
Fu soltanto allora che uscimmo dall'insalubre influenza di quel folle professore che, per sua volontà o meno, aveva manipolato il nostro disagio verso la scuola per evocare un essere che, a quanto mi sembrò di capire, non andava portato nel nostro mondo.
La vicenda, troppo orrenda e assurda per poter uscire dalle mura del rinomato Istituto Tecnico Industriale "Leonardo Da Vinci", fu insabbiato come uno dei tanti episodi di follia omicida in una scuola, e sotto questa maschera fu dato in pasto ai giornali.
In una cosa, però, Vitale Mastrogigli era riuscito: a causa della lunga convalescenza e degli interventi di ricostruzione anatomica cui io e tutti i miei compagni avemmo bisogno, il nostro ritorno a scuola avvenne quando oramai il restauro della nostra scuola era terminato, e con essi anche i detestati turni pomeridiani di lezione.
 


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