Ci sono due periodi nei quali si effettuano lavori di interesse
pubblico: quando il cantiere può risultare più appariscente
possibile e quando un politico cerca la conferma da parte dei
suoi elettori. In tali situazioni non si prende affatto in
considerazione il disagio arrecato ai cittadini deviando un
flusso di traffico oppure chiudendo settori di un edificio,
poiché l'appariscenza e il mantenimento della poltrona sono
valori troppo alti per potervi rinunciare.
Capita così di vedere rifare l'asfalto di una strada,
generalmente deserta per nove mesi l'anno, durante i tre mesi di
afflusso turistico, oppure che una scuola sia restaurata quando
l'anno scolastico è in corso anziché in estate.
Fu proprio a causa del restauro della mia scuola che avvennero i
fatti che mi accingo a narrare.
L'Istituto Tecnico Industriale "Leonardo Da Vinci" necessitava
da svariati lustri di un rifacimento delle facciate, della
sostituzione integrale degli infissi oramai fatiscenti, e della
messa a norma di sicurezza dell'impianto elettrico di un'ala
dell'edificio.
Per tali interventi, saggiamente programmati durante
l'anno scolastico, precisamente a partire dal mese di febbraio,
furono istituiti turni di lezioni mattutine e pomeridiane, da
tenersi nelle aule provvisoriamente non oggetto d'interventi di
manutenzione e restauro. La mia scuola era costituita da sei
corsi quinquennali, con classi discutibilmente suddivise in
maschili e femminili, quindi occorrevano trenta aule per volta,
esclusi uffici, laboratori, biblioteca e servizi: in base a come
si organizzò la ditta che vinse l'appalto dei lavori, vennero
occupate dalle cinque alle otto aule per volta, variabili ogni
settimana circa, per cui noi studenti fummo costretti a
spostarci spesso, oltre a dovere spesso seguire lezioni
pomeridiane, assolutamente contrarie a un bioritmo normale.
I vari rappresentanti di classe e quello d'istituto degli
studenti cercarono vanamente di fare posticipare i lavori
all'estate, minacciando anche uno sciopero, ma la "Leonardo Da
Vinci" era una scuola rinomata nella città perché si era sempre
mantenuta neutrale quando c'erano manifestazioni
studentesche; pertanto furono sufficienti le minacce di una
pesante sanzione disciplinare e del 7 in condotta al secondo
quadrimestre per indurre le tre quinte classi a desistere per
non giocarsi la maturità. Sotto questa prospettiva, i piccoli
focolai di rivolta non riuscirono a concretizzare alcuna
protesta affinché i lavori venissero rimandati.
Fu inutile cercare l'appoggio dei docenti, i quali non
intendevano schierarsi dalla nostra parte e mettersi contro un
direttivo che, pur di ottenere il loro appoggio, li indennizzava
economicamente con un extra per le ore pomeridiane dedicate
all'insegnamento, sebbene si trattasse soltanto di uno
spostamento di lezioni, e non di ore in più.
Se durante le lezioni mattutine sembrava che tutto fosse quasi
normale, fatta eccezione per i rumori prodotti dai muratori,
quando capitava un turno pomeridiano, malumore, stress e
svogliatezza calavano nell'aula, accompagnati dalla freddezza
nei nostri confronti da parte dei professori. In quelle
condizioni non sapevamo se fosse meno peggio per noi affrontare
una spiegazione o essere interrogati, poiché in entrambi i casi
veniva meno, in molti studenti, la concentrazione necessaria per
un apprendimento e un rendimento adeguato.
Già prima che iniziasse quel brutto periodo, la nostra
professoressa di Matematica si dovette assentare per portare a
termine la sua gravidanza, pertanto era giunto un supplente che
sarebbe stato il nostro docente almeno fino al termine dell'anno
scolastico. Si chiamava Vitale Mastrogigli, con un'aria da
quarantenne, e da noi avrebbe svolto il suo terzo incarico di
supplenza, in attesa di un'occasione che gli permettesse di
insegnare in una stessa scuola almeno per un anno intero, nonché
magari di diventare insegnante di ruolo dopo aver maturato
abbastanza anni di supplenze.
Il suo arrivo fu come una imprevista variabile nel sistema della
"Leonardo Da Vinci", poiché ci espresse sin dalla prima lezione
pomeridiana il suo disappunto per quella stravaganza di
effettuare lavori all'edificio in quel periodo. «Davvero una
cosa da pazzi!» prese a dire entrando in aula «Non s'è mai vista
una roba del genere! E cosa hanno saputo dire per spiegazione?
Che noi insegnanti godremo di un indennizzo per le lezioni
pomeridiane! Hanno davvero soldi da buttare in questa scuola?»
Passando in rassegna i nostri volti, comprese il disagio che ci
accomunava a lui, eccezione fatta, ovviamente, per l'indennizzo…
«Questa scuola, poi, è pure celebre per essere una specie di
mondo a parte, dove gli studenti non organizzano proteste… Che
storia! Ai miei tempi, in una situazione del genere, uno
sciopero a oltranza non ce l'avrebbe impedito manco il
Padreterno! Ma basta perderci in chiacchiere, che ci attende una
bella lezione di goniometria…»
Iniziò quindi l'ora di Matematica, che ci vide impegnati a
capire come si proiettavano i punti della circonferenza lungo
gli assi cartesiani per definire il rapporto di tali proiezioni
col raggio… Infine, quell'ora si perse dentro le altre quattro
di quel pomeriggio…
Una lezione dopo l'altra, il professor Mastrogigli conquistò
l'intera classe, alternando le sue gradevoli lezioni a
dissertazioni personali sull'assurda situazione del nostro
istituto. Qualcuno di noi studenti cominciò però a chiedersi a
cosa servisse tanta espressione di pensiero senza mai
alcun proposito di azione: non che sperassimo in un
supplente di Matematica che guidasse una rivolta contro
l'attuale sistema della "Leonardo Da Vinci", ma tanto vigore per
convincerci di quanto fosse sbagliato subire, e tanta rabbia
trasmessaci ogni volta, senza costruire nulla, servivano a ben
poco, specie se nel frattempo i cantieri nella scuola restavano
al loro posto, e noi vivevamo quel disagio, impotenti.
Se Panarelli, il nostro compagno appassionato di statistica, non
fosse stato bocciato l'anno prima, probabilmente si sarebbe
accorto che gli argomenti extra didattici di Mastrogigli
cambiarono tono quando l'ultimo di noi ebbe detto la propria
opinione sulla questione del disagio per via dei lavori di
restauro nella scuola. Evidentemente ora il professore sapeva di
averci convinti tutti, di averci resi un unico e compatto gruppo
rabbioso e motivato…
«C'è un punto nel cammino compiuto dal ribelle» cominciò a dire
il prof, quando quell'evento atteso dalle immaginarie
statistiche di Panarelli si fu verificato «nel quale si è
stanchi di accumulare ragioni e consensi, e si ha bisogno di
muoversi, finalmente, decisamente, irreversibilmente! Perché
opporsi a questo autentico regime non lascia mai le cose
com'erano, è bene che voi questo lo sappiate: la diplomazia non
ha condotto a nulla fino a oggi, quindi per cambiare lo stato
delle cose tra queste mura, è necessario accettare un
cambiamento innanzitutto in noi stessi, ragazzi! Sarà
probabilmente un sacrificio per i più sensibili di voi, ma non
abbiate paura, poiché dovete temere l'inerzia verso le
ingiustizie, non certo il crescere e maturare alzando finalmente
la testa da sotto la sabbia!»
Quasi con precisione cronometrica, appena ebbe terminato quello
strano preambolo al nuovo capitolo della sua consueta
dissertazione extra didattica, suonò la campanella che, siccome
quella di Matematica era l'ultima ora della mattinata,
corrispondeva alla nostra libertà.
Mi chiesi, come credo molti altri dei miei compagni, dove ci
avrebbe condotti il professor Mastrogigli nella lezione
successiva, e parlandone con qualcuno dei miei amici di scuola
nell'immediato e nelle giornate successive che precedettero la
sua nuova lezione, potemmo soltanto vagliare ipotesi. Di certo
non ne facemmo parola con gli altri docenti, tutti corrotti dal
direttivo scolastico, né con le nostre famiglie che, come ci
aveva fatto notare Mastrogigli, avevano scelto la "Leonardo Da
Vinci" proprio per la rinomata serietà che la rendeva
immune da manifestazioni studentesche e scandali vari.
La lezione di Matematica successiva capitò durante un turno
pomeridiano, dalle 17.30 alle 18.20; Vitale Mastrogigli, entrò,
puntuale come sempre, e prese posto dietro la cattedra. Era
solito fare l'appello per annotare le assenze sul registro
personale, ma quella volta preferì un più rapido confronto con
il registro di classe, poiché prima di lui aveva fatto lezione
la professoressa di Italiano.
«Tutti presenti…» disse sottovoce, aggiungendo, con un tono
ancora più basso che solamente chi era nella prima fila di
banchi poté udire in maniera nitida «Ovviamente!»; quindi alzò
lo sguardo dal registro, e si rivolse a noi, con un'espressione
decisa e convinta.
«Ancora una volta siamo qui di pomeriggio, a subire ciò che
sappiamo essere ingiusto!» cominciò a parlare, con il solito
tono trascinante inteso a coinvolgerci «Ma finalmente voi siete
pronti, ragazzi miei! Ora siete finalmente tutti carichi di
quella rabbia da sfogare che serve… State tranquilli, però: vi
ho parlato di dover accettare un cambiamento, e che per qualcuno
ciò avrebbe potuto rappresentare un sacrificio… Ebbene, voi oggi
non utilizzerete quanto vi ho trasmesso per sfidare questa
scuola che rappresenta un granello di sabbia nell'ordine delle
cose, questa scuola che fuori dalle sue mura incute riverenza
soltanto per quello che compie dentro di esse… No, voi oggi
farete un salto di qualità, nel corpo e nello spirito…» Uscì
quindi da dietro la cattedra e vi si piazzò davanti, invitando
Brizio, in prima fila, ad alzarsi e mettersi accanto a lui,
quindi lo cinse con un braccio sulle spalle. L'espressione del
nostro compagno, un ragazzone di corporatura robusta, dallo
sguardo buono e timido, mi sembrò strana, come se stesse
dormendo in piedi a occhi aperti; del resto io stesso, ora che
ci pensavo, mi sentivo con la mente ovattata da qualche minuto,
come se ogni mio pensiero fosse in secondo piano, eccetto
l'ascoltare il professore e pensare alla rabbia per lo stare
subendo nuovamente una lezione pomeridiana perché imposto
dall'alto…
«A voi poco deve importare questa situazione di disagio
scolastico» riprese a dire il prof, sempre con il braccio sulla
spalla di Brizio «perché il vostro destino non è cambiare lo
stato delle cose, né adattarvi a esse, bensì a esaltare questo
sentimento che ho infuso in voi lezione dopo lezione, e fare
come me…» detto questo, si avvicinò alla guancia di Brizio come
se volesse baciarla, e ne tirò via un morso con i denti, a
crudo!
Sentivo il mio cuore aumentare i battiti dall'osservazione di
quella scena con quel sangue che zampillava e il brandello di
guancia di Brizio che penzolava tra le labbra di Mastrogigli, ma
i pensieri non furono capaci di elaborare la reazione che mi
aspettavo, poiché invece di urlare per lo spavento, sbarrarmi lo
sguardo con le mani o provare una qualche empatia od orrore per
la scena, mi preoccupai di fare altrettanto prima di subire io
stesso un trattamento del genere. Per cui mi voltai tranquillo
verso il mio compagno di banco De Biasi, e gli assestai un morso
al lobo dell'orecchio, percependo oltre al sapore del suo
sangue, anche alcuni dei suoi capelli che erano stati strappati
via da quel gesto, e si erano insinuati nello spazio
interdentale della mia bocca. Il mio compagno di banco, che
doveva aver elaborato i miei stessi pensieri con un lieve
ritardo che gli aveva impedito di precedermi, si ritrovò così a
iniziare quel folle sfogo di rabbia con una prima mutilazione
già subita: aveva delle unghie affilate, che forse gli servivano
come minima difesa essendo piccoletto di statura, e con esse mi
lacerò facilmente un lembo della camicia all'altezza della
clavicola, per poi assestarmi un morso lì, mentre mi difendevo
usando un mio pollice come gancio nel suo orecchio il cui lobo
già aveva assaggiato i miei denti. Allo stesso modo, l'intera
classe si stava scatenando in quel delirio di violenza
cannibale, compiuto con assurda tranquillità.
Il sangue, assieme a brandelli di pelle, di muscoli e capelli,
aveva iniziato a insudiciare libri, quaderni e zaini, oltre agli
arredi della scuola, e tutto questo avveniva in un irreale
silenzio: non un grido di dolore o lamento usciva dalle nostre
bocche, eppure percepivo il dolore delle mie ferite, e la carne
viva che bruciava… Quella violenza sanguinaria non rimase mirata
sempre contro lo stesso compagno di scuola, ma talvolta, come in
una macabra danza, avveniva uno scambio di prede, con
conseguente reciproco tormento ulteriore alle piaghe già
ricevute, oltre a nuovi graffi e morsi su parti del corpo ancora
inviolate.
Non trascorsero oltre cinque minuti di quel macello infernale,
in quel silenzio vocale che ci permetteva di sentire il
lacerarsi della carne; percepivo il tempo scorrere stranamente
lento, e di tanto in tanto lo sguardo cadeva sul professor
Mastrogigli che, gettato Brizio nel mucchio dei carnivori
studenti, si gustava lo spettacolo, limitando i suoi gesti a un
soddisfatto chiudere aritmicamente a uncino le dita tenendo i
palmi in alto come se sostenesse qualcosa tra le braccia.
L'ingiusto costringere noi studenti a turni pomeridiani di
lezione era soltanto un pretesto per farci montare una rabbia
necessaria da poter sfogare poi reciprocamente in quel modo
fatto di orrenda violenza, senza alcun rispetto del corpo, né di
chi aggredivamo, né del nostro, in quanto il dolore non ci
fermava, ma anzi ci imbestialiva ulteriormente, facendoci
affondare maggiormente nelle ferite già inferte, alla ricerca di
carne viva e sangue sempre più caldi.
«Perfetto, può bastare così…» disse a un certo punto il
professor Mastrogigli, e le sue parole suonarono per me, come
per tutti i miei compagni, come l'ordine, o forse l'invito, a
interrompere ciò che stavamo facendo, il cui significato ci si
sarebbe rivelato agli occhi di lì a breve. Staccandoci con
naturalezza l'uno dall'altro, tornammo a prestare attenzione al
docente, che ora aveva tra le mani una grossa massa molle di
roba scura e informe, mentre lui, con fronte e capelli
vistosamente sudati, aveva stampato sul volto una folle
espressione soddisfatta.
«Ce l'ho fatta…» diceva, compiacendosi nell'incrociare i nostri
sguardi «Il rito ha funzionato… Il dio della rabbia si è
materializzato… per me!»
Dalla scura massa informe, fece lentamente capolino una
protuberanza cilindrica del medesimo colore del resto, con in
cima una faccia che vedemmo soltanto in un secondo momento,
quando distolse l'attenzione dal suo evocatore e si girò
per guardarsi attorno: sembrava un incrocio tra una lumaca,
della quale possedeva le antenne retrattili, e un maiale,
del quale aveva invece il naso.
Non ci fu modo, per noi, di vedere altri dettagli di quella
faccia emersa dalla melma tenuta in braccio dal prof; la
creatura, che era stata chiamata "dio della rabbia", si voltò
nuovamente verso il suo evocatore, e scattò improvvisamente in
avanti, come un cobra, spalancando una bocca che immagino fosse
fornita di lunghi denti affilati, visto che, appena un paio di
secondi dopo, con un suono di ossa spaccate, metà del cranio del
nostro professore di Matematica fu ingurgitata da
quell'abominio, lasciandoci per pochi istanti la vista della sua
testa sezionata da quel morso mortale, subito prima che il corpo
di Mastrogigli collassasse sul pavimento, privo di vita, e il
"dio della rabbia" cadesse, non più sorretto, e si spiaccicasse
accanto a lui, come molle cemento nero accidentalmente caduto
dalla betoniera.
Fu soltanto allora che uscimmo dall'insalubre influenza di quel
folle professore che, per sua volontà o meno, aveva manipolato
il nostro disagio verso la scuola per evocare un essere che, a
quanto mi sembrò di capire, non andava portato nel nostro mondo.
La vicenda, troppo orrenda e assurda per poter uscire dalle mura
del rinomato Istituto Tecnico Industriale "Leonardo Da Vinci",
fu insabbiato come uno dei tanti episodi di follia omicida in
una scuola, e sotto questa maschera fu dato in pasto ai
giornali.
In una cosa, però, Vitale Mastrogigli era riuscito: a causa
della lunga convalescenza e degli interventi di ricostruzione
anatomica cui io e tutti i miei compagni avemmo bisogno, il
nostro ritorno a scuola avvenne quando oramai il restauro della
nostra scuola era terminato, e con essi anche i detestati turni
pomeridiani di lezione.
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