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Biancaneve e i sette big

Scritto nei primi anni Novanta, questa novella umoristica è la prima di un ciclo di storie avente per protagonista un'assortita squadra di improbabili giustizieri, liberamente ispirati a personaggi più o meno carismatici di una realtà locale, nonché da figure prese dal mondo dello spettacolo, della politica... Sebbene quasi tutti gli episodi nascano come parodie, ovvero sequel, di celebri fiabe o film, anche nei cattivi è possibile riconoscere personalità di natura analoga agli eroi. Caratteristica che contraddistingue questa serie è il continuo alternarsi, storia dopo storia, di componenti nella squadra dei "sette big", salvo la permanenza di alcuni soggetti per due o tre avventure.
 

Come molti sanno, la favola di “Biancaneve e i sette nani”1 termina con Biancaneve che sposa il suo principe, o questo è per lo meno ciò che la storia racconta. Le cose in realtà andarono leggermente peggio. D’accordo: Biancaneve sposò il principe, ma i sette nani iniziarono a essere di troppo, sicché il principe, che si scoprì chiamarsi Alfonso, fu costretto a pagargli tre ore sui go-kart a testa; spesa necessaria per conoscere sessualmente Biancaneve senza che qualcuno dei nani saltasse fuori di sotto al letto o dall’interno del cuscino. Si sa, però, che all’epoca degli eventi, di Control, Hatu, Durex e simili ce n’erano ben pochi, ed era d’uso lo schermarsi utilizzando qualcosa di più grezzo, tipo foglie, calzini, fondine per pugnali… Nonostante ciò, Biancaneve fu ingravidata in occasione del primo rapporto.
Dopo i soliti nove mesi (perché sarà stata una fiaba, ma sempre di esseri umani si trattava...) nacque una graziosa bambina che fu chiamata, a suffragio universale, Enrico. Che c’è di strano? Enrico era il nome del padre di Alfonso...; i conti tornano, mentre il principe no, essendo stato convocato dai sette nani a finanziare la squadra di calcetto che in quei mesi avevano costituito.
Biancaneve, rimasta sola con Enrico, cadde così nella sfera satellitare di cristallo di un’ex eroina di favole, Cenerentola, fattasi strega dopo il tradimento di Alfonso. Purtroppo Cenerentola a suo padre non riuscì a dirlo, proprio lui fiero di sua figlia, di sua madre poi si vergognava, non voleva dirle che le piaceva far l’amore e scambiarsi i sogni…2 E allora? Decise di rapire Enrico, quella bambina che, se Alfonso non l’avesse tradita, sarebbe stata sua; quindi si travestì da ragazza seria.
Giunta sotto quelle false vesti a casa di Biancaneve, le citofonò e Biancaneve domandò chi fosse. «Una ragazza seria!» le fu risposto, e lei: «Le ragazze serie non ci sono più! Fuori di qui!» - «Guarda che sto già fuori!», allora Biancaneve: «Giusto, entra, così posso farti uscire!». Appena dentro, Cenerentola trovò Enrico tra le braccia di Biancaneve, l’afferrò e fuggì, pronunciando la tipica risata da cattivo dei cartoni animati. Biancaneve provò ad inseguire la ladra ma, essendo zoppa dalla nascita (altro particolare inedito della vicenda), dovette rinunciare al salvataggio; poté solo urlare: «Perché lo fai?» E Cenerentola: «Vaffanculo, bella stronza!»
Che cosa poteva mai fare Biancaneve, ora? Il principe e i sette nani avevano due partite in trasferta e la selezione per i campionati europei (l’avrebbe spuntata Brontolo), lei era zoppa..., il cuore si fermò un po’ sui mendicanti di città, intirizziti nei metrò; ma le caserme, le corsie, di bimbi troppo calmi ormai, ma i nuovi schiavi nella via, nel canto dell’Ave Maria...3 In quei pensieri, tipici del primo repertorio di Marco Masini, Biancaneve s’era messa a camminare in quel bosco che era il suo mondo, e disperata non sentiva il canto degli usignoli, il frinire dei grilli, lo strisciare delle serpi, il barrire degli elefanti (passava da quelle parti una troupe che stava girando una trasposizione televisiva di “Sandokan”4); ripeteva soltanto: «Enrico, ti vorrei anche se fossi un gay!»
Fattasi sera, Biancaneve giunse innanzi a una casetta nel bosco, della quale ignorava l’esistenza. La sua prima reazione fu uno spontaneo: «Nah! E ce iè ddo?5»; poi, rendendosi conto che era tardi per tornare a casa, decise di chiedere ospitalità agli abitanti della casetta. Provò a bussare timidamente, e le aprì un signore con i capelli nerissimi, tirati indietro da una colata di gelatina, e con, sul petto del maglione, un rettangolo giallo di stoffa con su scritto il suo nome: “Lionettolo”. Questo fu il dialogo che avvenne: «Buonasera, sono Biancaneve, quella coi nani. Ecco, scusi, mi hanno rapito la bimba e per seguirla mi sono persa... Potrei passare la notte qui, tipo Heidi6, in qualche luogo al coperto?» - «Ce iè ca vuè? Vit ca qua sim sett maschi!7»
Lionettolo fu interrotto da un altro inquilino di quella casa, il pezzo giallo di stoffa sul suo petto recava scritto, tutto in maiuscole: “Mimmolo”. Egli disse: «Qua sistemo tutto IO!» Fece entrare Biancaneve in casa, la mise al caldo vicino al caminetto, e le disse: «Noi siamo i sette big®: abbiamo i nomi scritti sul petto, e siamo a disposizione di gente bisognosa di giustizia!»
Al tavolo sedevano tre figuri, sui cui pezzi di stoffa c’era scritto “Leolo”, “Gervasolo” e “Albertolo Albertolo”; i tre si presentarono all’ospite, ed il più impulsivo fu Albertolo: «Eeeh, io mi chiamo Albertolo una volta sola, e il nome l’hanno scritto due volte per sfottere. Che, ti hanno rapito la figlia, te l’hanno rapita?» E Biancaneve intuì il motivo del nome ripetuto. Poi parlò Gervasolo: «Ci dispiace discretamente, Biancaneve, del rapimento. Più tardi magari faccio un giro in bici e vedo se la trovo!» Ultimo a parlare fu Leolo: «Aaaeehh! Sì, stai tranquilla, che vedremo di aiutarti. Io posso confondere il nemico perché ho un centinaio di sosia, come Harrison Ford, Robin Williams, Paul McCartney, William Hurt, Gerry Scotti, Kurt Russell, Jeff Bridges, Clint Eastwood, Richard Harris, Roger Moore, Jhon Wayne!» E Biancaneve proruppe in una tipica esclamazione onomatopeica adatta al caso: «Mel Gibson!», ma Leolo capì un’altra cosa poiché disse: «No, quello non mi riesce!»
Biancaneve, a quel punto, espose nei dettagli il suo problema, dopo di che chiese: «Avete detto d’essere sette, ma io vi vedo in cinque soltanto… come mai?» Rispose Albertolo: «Eeeh, ‘ché gli altri due sono ricchioni e stanno sempre in camera assieme. Sono Cicciolo e Giuliolo; li vuoi vedere, li vuoi vedere?» Biancaneve, esibendo la sua sempre repressa perversione (altrimenti altro che primadonna in una fiaba!), accettò, quindi Lionettolo: «Uè, t’accumpagno io!8», e introdusse l’ospite in una stanza ove si stava svolgendo uno spettacolo alquanto fantasmagorico, acrobatico e, per certi versi, pirotecnico: v’erano schizzi densi e biancastri sui muri, cuscini morsicati, letto capovolto, e loro due, Cicciolo e Giuliolo, nudi e in pieno atto erotico. Un amplesso diverso dal solito, perché Cicciolo stava col seno schiacciato contro la parete mentre Giuliolo, in equilibrio dietro di lui sulla gamba sinistra, lo penetrava con la destra. Notata Biancaneve, i due le saltarono addosso, e l’energia sprigionata dall’amplesso la guarì dal suo zoppicare!
La placida notte trascorse con quattro veglianti: Albertolo che doveva studiare in vista degli esami di maturità, Cicciolo e Giuliolo che non dormivano mai, e Mimmolo di guardia su Biancaneve. Intanto, qualche chilometro più ad ovest, anche Cenerentola dormiva nel suo castello con quaranta cani, tutti pitbull, che vigilavano su lei, su Enrico e su Totò Cascio, giovane proprietario del castello, divenuto ricco dopo aver concesso i locali del suo possedimento per l’ambientazione di uno spot della Barilla (che vi credevate, eh?), ma che in questa storia non dovrebbe interagire con nessun personaggio, giacché dopo lo spot il mondo dello spettacolo l’ha pressoché dimenticato. Il destino di Enrico sembrava segnato: il giorno dopo sarebbe stata frullata per creare un filtro magico col quale Alfonso si sarebbe innamorato di Cenerentola.
Venne il nuovo giorno, ricco di suoni, raggi di sole, aromi del mattino… mancava solo Peter che portasse le caprette al pascolo assieme alla nipote della signora Rottenmeier… Nella casa dei sette big® Gervasolo preparava la colazione discretamente, Lionettolo, noto per il suo fiuto negli affari nel settore delle sale giochi, controllava il fondo cassa, Leolo si preparava alla guida della jeep dalla capote realizzata in onduline di vetroresina con rimorchio che li avrebbe portati a salvare Enrico, Albertolo continuava a studiare dicendo ogni tre minuti circa: «Eeeh, poi chiamatemi, che vengo pure io! Va bene? Va bene?» Mimmolo stava calibrando la sua arma: un racchettone con piatto ellittico da 60x90cm con un manico da 120cm e corde realizzate in barba propria. Cicciolo e Giuliolo proseguivano il loro amplesso nella jeep, ove si apprestavano a fare da motore.
Alle ore dieci fu svegliata Biancaneve da un «Aaaeee!» di Leolo che l’avvisò anche del fatto che era tutto pronto per partire in missione. Salirono quasi tutti sulla jeep, tranne Mimmolo che dal rimorchio selezionava le palline da tennis adatte al suo attacco col racchettone, e Gervasolo che procedeva in avanscoperta sulla sua mountain-bike da ventuno rapporti (tre avanti e sette dietro, pochi rispetto a quelli che aveva Cicciolo, che però erano esclusivamente dietro...).
Durante il viaggio, Biancaneve si raccomandò con i big affinché non mettessero a repentaglio la vita di Enrico, altrimenti vallo a sentire Alfonso; la rassicurò Albertolo: «Eeeh, stai tranquilla, che io a Enrico la voglio conoscere, la voglio conoscere, la voglio C-O-N-O-S-C-E-R-E!» e lì Biancaneve scoprì che il leggero difetto di Albertolo aveva anche dei vocaboli preferiti...
Cicciolo e Giuliolo rendevano la potenza di 400.000 cavalli vapore, sicché i sette big® giunsero presto al castello con quaranta cani di Cenerentola. Proprio Cenerentola avrebbe iniziato a momenti la frullatura di Enrico, ma fu interrotta, nel momento evidentemente più disgustoso della storia, dall’abbaiare dei pitbull, che inviò subito a respingere i disturbatori. Appena i cani furono a tiro, Mimmolo iniziò i lanci di palline col racchettone, e la sua mira infallibile, unita alla potenza dei colpi, ridusse in breve l’offensività dei cani. Dal cofano uscirono Cicciolo e Giuliolo per utilizzare nei loro giochetti i cani più disponibili, mentre Gervasolo, sempre sulla mountain-bike, distraeva i cani dalla jeep. Lionettolo notò: «Ddo iess for nu bell videogioco!9» Infine, Biancaneve non credette ai propri occhi quando l’ultimo cane, distratto da Gervasolo, fu colpito da Mimmolo e usato da Cicciolo e Giuliolo. Senza dare tregua al suo senso di giustizia, Mimmolo: «Ora entriamo nel castello, e vado avanti IO!» Non tutti seguirono Mimmolo: per evitare eventuali sorprese, Leolo rimase in jeep con Biancaneve, e le elencò i nomi di altri suoi sosia…
Nel castello, ora senza quaranta cani, Cenerentola aveva assistito alla disfatta cinofila e disse: «La mia ira si scatenerà su Enrico!» e con una pugnalata al cuore la uccise. Tardi giunsero i big, che poterono solo vedere il corpo senza vita della bambina, gettato a terra e preso a calci come in una scena censurata di “Trainspotting”10. Lionettolo: «Ceè! Ta stuetichit? Si accìs a criatùr? Ca daffòr stè a mamm!11» Mimmolo: «Questo non lo dovevi fare…» - «Uccidimi pure» disse Cenerentola «non riavrà nessuno la vita di Enrico! E adesso voglio vedere la faccia del principe! Fatemi vedere la faccia del principe! Dov’è il principe?» Albertolo: «Ma sentitela! Si mette a fare come Luisella di “Miseria e nobiltà”! Ma è quel film con Totò? C’è Totò?» Mimmolo, serissimo: «Hai ragione: IO so fare tutto, ma non posso resuscitare i morti!»
Su quelle parole di sconforto, Cicciolo e Giuliolo, durante il loro incessante moto oscillatorio pelvico, toccarono il corpo di Enrico, e questo fu sufficiente a trasmetterle l’energia necessaria per richiuderle il cuore, rimarginarle la ferita e garantirle settantasette anni di pulsazioni cardiache! Gervasolo subito: «Che cosa discreta!» Albertolo, invece, raccolse Enrico e, prendendola in braccio: «Ueee, piacere! Io sono Albertolo, studio Ragioneria...», mentre Mimmolo, con un gesto fulminante, catturò l’esterrefatta Cenerentola.
Giunti tutti fuori, furono raggiunti da Leolo e Biancaneve che riempì di baci Enrico, mentre offrì dei Pocket-Coffee ai sette big®, ringraziandoli a ripetizione.
Accompagnata Biancaneve a casa, si decise che Cenerentola, privata dei suoi poteri dopo assimilazione degli stessi da Mimmolo, avrebbe lavorato per i big, che non le avrebbero dato una lira, versandole però tutti i contributi INPS.
Dopo tre giorni, Biancaneve invitò i big ad assistere ad una partita dei sette nani allenati da Alfonso, anche per informarlo dell’avventura vissuta. I big si presentarono in sei, perché Giuliolo fu ricoverato per una forma cronica di stress al pene; presentati al principe, questi, presa notizia degli eventi, quasi non credette alle proprie orecchie, e chiese in maniera retorica a un big a caso, Cicciolo, se fosse tutto vero. L’interpellato rispose: «Bah, io non mi sono accorto di niente, quindi… non lo so!»


Note:
1 Fiaba popolare europea, maggiormente conosciuta nella versione dei fratelli Grimm del 1812, nonché nel lungometraggio del 1937 prodotto da Walt Disney.
2 Liberamente tratto da “Cenerentola innamorata” di Marco Masini (album “Malinconoia”, Dischi Ricordi, 1991).
3 Liberamente tratto da “La voglia di morire” di Marco Masini (album “Malinconoia”, Dischi Ricordi, 1991).
4 Protagonista di numerosi romanzi d’avventura di Emilio Salgari.
5 Cosa c’è qui?
6 Protagonista del romanzo omonimo di Johanna Spyri (1880), nonché di vari film e cartoni animati ispirati a esso.
7 Cos’è che vuoi? Guarda che qui siamo sette maschi!
8 Ti accompagno io!
9 Qui ne esce un bel videogioco!
10 Riferimento al film del 1996 diretto da Danny Boyle, a sua volta tratto dal romanzo omonimo di Irvine Welsh. La scena citata pare sia nota esclusivamente a un tale noto come “U scallafierr”.
11 Ti sei scimunita? Hai ucciso la bambina? ‘Ché fuori c’è la madre!


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